Le prime scampagnate primaverili risvegliano sempre dentro di me il ricordo e la nostalgia del paesaggio polacco – spesso grigio e monotono, ma nello stesso tempo suggestivo, affascinante ed indimenticabile… semplicemente incantevole… così come lo fissò nei suoi quadri uno dei più eminenti paesisti polacchi – Józef Chełmoński – scomparso a Varsavia il 6 aprile del 1914.
In occasione dell’anniversario della sua morte vorrei ricordare un articolo dedicato a questo “poeta-compositore” della natura, scritto da Alessandro Koltonski e pubblicato oltre cent’anni fa nella celebre rivista italiana di arti e grafica “EMPORIUM” (Agosto 1919, vol. L., nr 296). L’articolo riccamente illustrato è consultabile sul sito www.artivisive.sns.it. Buona Lettura!
N.B. “Chełmoński” nell’articolo è scritto erroneamente come “Chelmoriski”.
ARTISTI CONTEMPORANEI: JOZEF CHELMORISKI [JÓZEF CHEŁMOŃSKI]
Alessandro Koltonski
Un profondo dolore risparmiò il destino a Giuseppe [in polacco Józef] Chelmoriski, il più sincero e più grande dei pittori contemporanei polacchi. Morto proprio alla vigilia di questa immensa tragedia umana che fu la guerra mondiale, egli non vide più profondamente affogata nel sangue e nell’orrore la patria crocifissa che fu il maggior suo amore. D’altronde non gli fu data la massima gioia di rivederla liberata dalla schiavitù secolare e risorta alla nuova vita comune dell’umanità intera.
Chelmoriski si spense serenamente nella modesta sua casupola di Kuklowka, presso Grodzisk, nella provincia di Varsavia. I contadini coprirono la sua tomba fresca con delle corone di grano e di fiori campestri. Egli fu dei loro, fu il figlio eletto di questa loro terra grigia e taciturna, il vero pittore nazionale nel senso più nobile e più largo della parola, come Adamo Mickiewicz nella poesia e Federico Chopin nella musica.
L’arte di Giuseppe Chelmoriski, sottile ed equilibrata ma nello stesso tempo grandiosa e profonda, rispecchia come nessun’altra l’anima della sua patria che, una volta tanto grande, era allora tanto umiliata.
Nato nell’anno 1849 a Boczki, un piccolo possedimento nel principato di Lowicz, Chelmoriski dimostrò fin dalla prima sua giovinezza un amore irresistibile per la riproduzione della natura e fu ben presto iniziato dal proprio padre nei primi segreti dell’arte del disegno.
Nell’anno 1862 lasciò però il paese nativo e giunse, fanciullo ancora, nel centro intellettuale della vita polacca, a Varsavia, dove frequentò quella Scuola di disegno e studiò contemporaneamente la pittura sotto la guida dell’ottimo, seppure un po’ accademico, maestro Alberto Gerson. E’ qui che egli compone anche le sue prime opere: «Il pagamento del salario», «Nella chiesetta rustica» e «La partenza delle cicogne» – primi tocchi deliziosi di un artista ancora incosciente della grande sua missione futura, ma già sicuro nella tecnica e completamente individuale.
Seguendo il consiglio del Brandt, il quale, insieme con un altro grande pittore polacco, Massimiliano Gierymski, ebbe qualche influenza sul suo talento, Chelmoriski venne nel 1870 a Monaco di Baviera, dove lavorò negli studi dei grandi accademici tedeschi, sorretto specialmente dai consigli del Wagner e di alcuni altri. Però questi consigli non riguardano che il lato formale della sua arte originale, lasciando inalterato e vergine il modo singolare della sua creazione.
E così, quando Chelmoriski, dopo alcuni anni, lascia la capitale bavarese, ritorna in patria più maturo e più esperto, ma senza aver perduto niente della sua individualità. Egli va in Ukraina, dove l’angoscia delle lontane steppe gl’inspira uno dei suoi quadri più belli: «L’estate di San Martino» (1874), rappresentata sotto le sembianze di una piccola pastorella.
Ma la sua permanenza colà non dura molto. Gli amici lo chiamano a Parigi. E dopo aver esposto a Varsavia i frutti del suo ultimo soggiorno, fra i quali «L’autunno», «Alla partenza degli ospiti» e «La burrasca» dimostrano già tutta la grandezza del suo talento artistico e tutta la profondità della sua anima poetica, egli lascia nuovamente la patria, per non ritornarvi che dieci anni dopo.
Ma la vita vertiginosa della capitale mondiale non lo trascina e non lo attrae che superficialmente. Egli non si perde, come tanti altri, nelle non sempre sicure vie dell’arte francese. La studia, ne valuta le caratteristiche, restando però sempre sé stesso, un polacco cioè che le circostanze della vita misero in contatto con un mondo assai bello, ma a lui totalmente estraneo, un polacco, che con tutto il suo cuore ardente, anela alla cara e indimenticabile patria lontana…
Grandi onori attendono il Chelmoriski a Parigi. Per «Il riposo dei Cosacchi», esposto al «Salon», egli ottiene la «mention honorable», e l’Esposizione universale gli frutta il «Grandprix».
Da questo momento la sua carriera mondiale può dirsi assicurata. Parigi e l’America acquistano a caro prezzo i suoi quadri. Ma il successo non soddisfa il vero artista ed il chiasso odioso della grandiosa città lo disturba. Così verso il 1890 egli lascia definitivamente la terra promessa degli arrivati e ritorna alla sua prediletta vita campestre.
Nessuno più di Chelmoriski, ed anzi egli primo di tutti, interpreta la profonda bellezza della «grigia» terra polacca con le sue pianure senza fine, coi suoi campi dorati di grano, ondeggianti sotto il leggero soffio del vento come un mare immenso maculato dagli innumerevoli puntini dei papaveri scarlatti, dei fiordalisi azzurri e delle nigelle violacee, con le sue foreste profonde e buie, piene di selvaggina; con le paludi, nascondenti la morte sotto l’incantevole tappeto della loro veste smeraldina di erba folta, ingiallita dalle migliaia e migliaia di calte e di ranuncoli; e con le sue steppe lontane, talvolta bruciate dal sole ardente, talvolta invece sepolte sotto il grandioso involucro della neve immacolata. Chelmoriski intuisce per la prima volta l’anima di tutte queste bellezze naturali della propria patria e crea il paesaggio polacco, prima di lui conosciuto nel mondo soltanto attraverso le vaghe descrizioni dei poeti.
Lunga fu la serie dei suoi lavori, la maggior parte dei quali ebbe per soggetto sempre la stessa campagna. Ma una ricchezza impareggiabile di soggetti, una straordinaria finezza nella percezione dei fatti più semplici della vita ed una insuperabile poesia nella loro rappresentazione escludono da essi ogni uniformità ed ogni ripetizione.
Nell’anno 1891 Chelmoriski finisce uno dei suoi quadri maggiori «L’assalto dei lupi alle slitte», per il quale ebbe la più alta onorificenza all’Esposizione di Berlino e la medaglia d’oro a quella di Monaco.
Ma fu soltanto alla prima esposizione individuale dell’intera sua produzione, effettuatasi a Varsavia nel 1907, che il suo genio poté esser giudicato in tutto il suo splendore e consacrato da un vero plebiscito di ammirazione all’immortalità ben meritata.
L’attività artistica del Chelmoriski rappresenta una delle fasi più importanti nello sviluppo generale della pittura polacca. Partito da un concetto della bellezza tutto individuale, egli seppe trovare nei motivi della natura del proprio, nella vita e nelle attitudini del proprio popolo, un mondo veramente nuovo e quasi sconosciuto ai suoi confratelli, ma, ciò nonostante, pieno di una meravigliosa poesia e degno di esser eternato dal più grande pennello. Matejko, con l’aristocratica grandiosità della sua arte, non ci diede che l’esteriorità monumentale e l’essenza patetica dell’anima polacca. Chelmoriski, invece, nella perpetua sua comunione con essa, svelò con le sue opere la trama intima della sua vita e, tenendo sempre la mano sopra il suo cuore palpitante, rivelò tutto il suo lirismo incomparabile con la finezza di una melodia chopiniana.
Un temperamento poco comune ed un amore straordinario della vita segnano il primo periodo della sua arte. Con una forza veramente giovanile egli dipinge allora preferibilmente i cavalli in corsa attaccanti in quadriglie ai caratteristici carri e guidati con vigoria quasi selvaggia dai ridenti e forti contadini; le pittoresche fiere nei piccoli paeselli, piene di gente strillante e variopinta, e tante altre scene della vita quotidiana del suo popolo. Fu la profonda sincerità di quelle opere e la pura semplicità dei mezzi coi quali esse erano composte, che, insieme all’originalità esotica dei soggetti, guadagnarono subito al Chelmoriski, fin dal suo primo apparire sull’orizzonte dell’arte mondiale, una posizione invidiabile.
Un profondo e beneficio senso di quiete domina invece il secondo periodo della sua attività, che coincide col suo ritorno in patria, e non lo abbandona che alla morte. Accordando sempre di più il proprio cuore ai palpiti della sua terra tanto amata, egli la guarda, l’ascolta, la sorprende nei momenti più intimi e più fuggevoli della sua bellezza e canta un vero poema della sua esistenza, traducendolo con destrezza meravigliosa nelle sue tele.
Ecco un lago taciturno e immobile, chiuso fra le ombre di una selva, che sembra sia stato ammaliato dalla forza invisibile di un mago potente…
Ecco «Le pernici sulla neve», un quadro così bello e dolce da non poter essere comparato che all’anima innocente di un bambino…
Ecco la poesia indescrivibile di un ruscelletto scintillante fra i prati colle sue acque rapide ed abbondevoli.
Ecco una campagna polacca, così abbandonata e così maestosa nella calma imperturbata della notte…
In queste opere tutto è sincerità, tutto è verità e saggezza. Non c’è una cosa sola che non sia stata profondamente sentita, meditata e rivissuta.
Sarebbe difficile immaginare una concezione più polacca del quadro «Sotto la tua difesa…», il primo verso della preghiera prediletta del popolo polacco. Sopra la campagna, addormentata ed immersa nelle più profonde tenebre notturne, incombono in un cielo oscuro le nuvole pesanti, che, nella luce diffusa della luna nascosta, prendono la forma della figura misteriosa della Madonna misericorde di Censtochowa [Częstochowa], la regina della corona polacca, col Bambino…
Distendendo il largo manto protettore sopra il triste paese dimenticato, essa lo avvolge in una grande pace soave che fa dimenticare tutto…
E non solo il paesaggio della patria diletta, ma anche il suo stesso popolo coi suoi tipi caratteristici e nelle più varie circostanze della vita, come anche la sua flora e la sua fauna, trovarono una forte eco nell’anima del grande artista e pittore.
Molte sono fra le opere sue quelle che ci mostrano il povero contadino nelle grigie ore del suo continuo e pesante lavoro quotidiano, nelle ore gioconde del suo riposo e in quelle tristi delle sue sciagure e dei suoi dolori. Le distingue tutte in sublime amore fraterno non disgiunto da un profondo simbolismo. Così, oltre la melanconia del paesaggio autunnale che troviamo nella bellissima «Partenza delle cicogne», noi leggiamo in quel quadro sulla faccia triste del vecchio contadino uno straziante rimpianto delle speranze non compiute e sul volto attento del piccolo ragazzetto incuriosito l’eterna bramosia dell’ignoto.
Sarebbe impossibile ricordare qui tutto il grande patrimonio artistico del Chelmoriski, che in luogo di essere descritto, deve esser visto e vissuto spiritualmente. Poiché non è già come un abile e scaltro copiatore della natura ma come un ispirato e vero poeta-compositore che egli ci appare nella sua arte nobile ed immortale.
Chelmoriski fu veramente il più sincero, il più profondo e il più grande dei pittori contemporanei della Polonia.
[ALEKSANDER KOŁTOŃSKI]
Si legga anche>>> LA POLONIA NELLE PAGINE DELLA RIVISTA “EMPORIUM”
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